Ricordo molto bene quella notte di qualche settimana fa. Avevo sentito un rumore che non saprei ben definire. Mi ero alzato lentamente e con atteggiamento circospetto avevo scrutato la porta d’ingresso: era chiusa! A luce spenta osservavo fuori alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che potesse attirare la mia attenzione. Poi, ancora una volta, avevo controllato dettagliatamente dentro casa, quindi mi ero affacciato sul balcone. Niente! Niente di niente!
“Forse il vento ha smosso qualche cosa” ho detto a mia moglie. “Dormi. Tutto ok. Tranquilla!”.
Il vento quella notte non aveva bussato solo a casa mia, lo aveva fatto anche in tutte le altre per annunciare il cambiamento ma… ancora nessuno al mondo poteva immaginare o prevedere cosa volesse comunicarci.
Non so perché, ma ritornando nel mio caldo letto rimasi a fissare il tetto, per nulla persuaso che fosse il solito vento di burrasca. Questo aveva un insolito e fastidioso sibilo, come se avesse un’anima che provocatoriamente volesse apparire insolente e sprezzante tenendomi mio malgrado sveglio. Veniva da molto lontano, quel vento, aveva viaggiato attraversando mari e montagne, città e deserti, fiumi e laghi, raggirando impunemente confini e frontiere, muri e barriere, senza che nessuno potesse fermarlo per un controllo. Sfrontatamente e silenzioso come un ladro, aveva deciso che avrebbe albergato nelle nostre vite e nelle nostre case, senza chiedere il permesso, espugnando senza possibilità di obiezione il posto che si concede all’ospite d’onore, velando subdolamente alla vista il veleno contagioso che serbava in corpo.
Ma io quella notte questa cosa non la sapevo. Anzi, non lo sapeva ancora nessuno.
A notizie insopportabili e spiacevoli la cronaca ci aveva abituati e assuefatti in ogni momento della nostra giornata, raccontandoci di tutto e di più nei minimi dettagli. Quasi a voler confermare certe profezie bibliche certe tragedie erano permanenti o avvenivano ciclicamente: conflitti armati , attentati terroristici, barconi affondati, tsunami catastrofici, terremoti disastrosi, eruzioni, ghiacciai che si scioglievano, inquinamento incontrollato, città e foreste che bruciavano, animali rari che sparivano per mano di altri animali, vigliaccamente armati di fucili e pallottole.
Ma ora la minaccia era ben diversa e coinvolgeva tutto e tutti, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Questo nemico era stato addestrato affinché potesse coglierci a uno a uno alle spalle, scaltro come un killer che sorprende la sua vittima. Ma soprattutto invisibile, aggressivo, determinato e silenzioso come una farfalla in volo.
Cominciai a percepire quali fossero le vere intenzioni di quel vento qualche giorno dopo, con il primo telegiornale delle 13:00. Pian piano quel telegiornale si trasformò in una diretta, poi in uno speciale, poi in altre trasmissioni, altri programmi e ancora dirette. Tutto il giorno, ogni giorno da quel giorno. Politici, medici, epidemiologi, ricercatori, comitati scientifici e quant’altro cominciarono a bombardarci con dibattiti televisivi e sui social.
Inizialmente, come spesso accade in TV, la gara era quella a cui eravamo oramai abituati da anni, ovvero “chi la spara più grossa” viene invitato di nuovo in studio. Tutti smentivano tutti in una affannosa ricerca di visibilità e credibilità in caduta libera. Un altalenarsi di conferme e smentite in continua evoluzione e contraddizione che inquinavano il dibattito. Via via i ciarlatani sono stati sostituiti dai professionisti veri che in qualche modo hanno raddrizzato il tiro dando una visione univoca e scientifica ma… oramai la confusione regnava sovrana e la causa era sempre la stessa: ognuno voleva accaparrarsi la scena deformando la verità secondo le proprie convinzioni, affliggendoci con una perpetua polemica che il più delle volte, ahimè, assegnava la ragione a chi starnazzava di più, proprio come le galline in un pollaio. Il risultato finale era sempre quello di confondere il telespettatore più di quanto già non lo fosse. Si sa! Quando l’informazione giunge frammentata, viziata o abbonda eccessivamente, questa non può fare altro che generare il caos. E il caos è giunto puntuale.
Da lì a poco i supermercati sono stati presi d’assalto per l’accaparramento di viveri, manco fosse stato dato l’annuncio di una imminente guerra nucleare. Alcune città vengono blindate, altre non ancora, generando quindi false illusioni e ulteriore confusione rafforzata da una miriade di personalistici quanto discutibili provvedimenti regionali e comunali che per fortuna andavano via via scemando, incanalati verso una complessa e faticosa uniformità nazionale per mezzo di continui provvedimenti governativi, spesso confusi perché indubbiamente non di facile attuazione, sempre più stringenti riguardo alla possibilità di spostamento di uomini e mezzi, fino a giungere al blocco totale di tutte le attività non essenziali.
Improvvisamente, tutto il mondo si sta fermando lasciandoci in compagnia di un silenzio irreale e insolente che ci induce a porci una semplice domanda: cosa sta succedendo e perché?
Domande senza risposta seguono ad oltranza altre domande senza risposta. L’informazione mediatica pressante e confusa si accavalla disordinatamente nella nostra testa, che cerca in qualche modo di metterla in ordine in un incerto, quanto inutile responso.
Il nemico invisibile si è ormai materializzato e presentato con il suo nome e cognome “Covid-19”.
Si è presentato e mostrato proprio così … supponente e sprezzante verso tutto e tutti.
E io già lo detesto.
E improvvisamente ciò che credevamo incontrastato e certo, stava svanendo come neve al sole, avvicendato da misure di contenimento, limitazioni di spostamento, obblighi, divieti, raccomandazioni e sanzioni.
Tutto ciò che fino a quel momento rappresentava un’abitudine consolidata, più o meno superflua o fatta magari senza entusiasmo, passione, vitalità o gioia, diventa improvvisamente il desiderio più ricercato, bramato e indispensabile alla propria sopravvivenza.
Nostro malgrado, ci ritroviamo adesso in coda davanti alle farmacie, attoniti e smarriti, per acquistare mascherine, guanti, disinfettanti per le mani … già introvabili e inspiegabilmente costosi. Distanziati per decreto l’uno dall’altro di almeno uno o due metri, come fossimo appestati, nemici da cui stare alla larga.
Pian piano quel nemico invisibile comincia a privarci dei nostri affetti: prima un morto, poi due, poi cento, poi mille, poi, poi e poi! Padri, madri, figli, zii, sorelle, fratelli, amici e conoscenti. Passati al sonno eterno senza neanche un abbraccio, un bacio, uno sguardo, una carezza, una parola d’addio. Portati via alla rinfusa e sepolti come ladri in tombe anonime e tutte uguali nella loro drammatica uniformità. E noi, sconvolti dalla commozione e dal dolore ci ritroviamo improvvisamente a stringere la foto del nostro caro al petto e a parlare e pregare in solitudine, la stessa con la quale i nostri amati sono andati via per sempre.
Tutto ad un tratto la normalità diventa un ricordo che l’anormalità ci costringe a ricordare come un chiodo che ti trapana la testa. Ed è ora, solo ora che non possiamo più permettercelo, che capiamo quanto sia importante il valore di un abbraccio che non possiamo più darci, di un bacio che non possiamo scambiarci, di una semplice pacca sulle spalle di incoraggiamento dalla quale prima magari sfuggivamo, senza neanche sapere il perché.
La desuetudine diventa improvvisamente una consuetudine che ribalta tutte le nostre convinzioni e certezze, facendoci ritrovare in un vortice di pensieri sparpagliati e confusi, spaesati, spaventati e smarriti in una quotidianità che stentiamo a riconoscere.
Inaspettatamente, alla stregua di un bandito che ha commesso un reato, ci ritroviamo agli arresti domiciliari nel nostro esilio perlopiù dorato, checché se ne dica, osservandoci increduli l’un l’altro dai nostri balconi, diventati improvvisamente il luogo dove lesinare la nostra ora d’aria.
E in quelle poche volte nelle quali ci è concesso uscire per andare a fare la spesa ci ritroviamo controllati dalle forze dell’ordine che, armati solo di mascherine, non possono esimersi dal contagio per evitarlo agli altri e dovendosi adattare rapidamente e senza nessun addestramento operativo alle nuove e molteplici contingenze sperando di non sbagliare, perché in questo caso neanche il giubbotto antiproiettile potrebbe salvare la vita. Quella vita che svaniva ogni giorno con le tante, troppe vittime tra chi, più di tutti, lavorava incessantemente giorno e notte in trincea senza neanche poter dimostrare di avere paura. Erano medici e infermieri chiamati ad una lavoro eccezionale e immane, deputati a salvare la vita degli altri, lasciandoci ogni giorno la loro.
In un silenzio irreale, come automi, dobbiamo abituarci ad un nuovo stile di vita e cominciare ad abituarci all’utilizzo di un nuovo termine denominato “distanziamento sociale”. Lo dobbiamo praticare per entrare al supermercato, in farmacia e ovunque vi sia la presenza di altre persone, dimenticandoci per il momento di tutto ciò che eravamo – spesso noiosamente - abituati a fare e che oggi rimpiangiamo malinconicamente: scuola, palestra, teatro, cinema, fiera, sagra, concerto, shopping, una semplice passeggiata, bar, ristorante, eccetera e eccetera. Niente. Niente di niente se non la quarantena ad oltranza!
All'improvviso sperimentiamo un nuovo modo di muoverci per le strade, in un regolare quanto insolito zigzagare da un marciapiede all’altro, nell’intento di sfuggire alle eventuali particelle di saliva sospese nell’aria di chi, facendo uno starnuto transitando accanto a noi, potrebbe potenzialmente contagiarci.
Ed ora più che mai, mi domando come faremo ad affrontare quella che è già stata definita la più grave crisi economica dalla grande depressione del 1929. Una crisi economica globale e feroce che come una spada di Damocle ci sta già dicendo che per molti di noi quel che c’era probabilmente non ci sarà più.
Quell’equilibrio nelle nostre vite, costruito in una convinzione di normalità - ma che normalità non era se non nelle nostre teste - si è rotto fragorosamente costringendoci a vedere che all’interno di quel sacco vuoto delle nostre certezze, c’era di fatto qualcosa da rimettere in ordine e che rimandavamo da tempo, persi dietro la frenesia della quotidianità che ci stava rubando gli anni migliori della nostra vita senza rendercene conto. Le certezze che fanno improvvisamente spazio a domande dalle quali eravamo sempre agevolmente sfuggiti e a cui volevamo abilmente sottrarci.
La drammaticità di questo evento globale che ha rallentato le nostre vite, ci costringe ora a riflettere, interrogarci e tentare di riappropriarci di quei valori che avevamo trascurato o abbandonato, distanziandocene fino al punto da invertire l’ordine dei fattori a favore di un’esistenza convenzionale, quanto futile.
E quasi sorprendendocene ci accorgiamo di avere una famiglia che non conoscevamo abbastanza, spesso solo virtualmente. Ci stupiamo nello scoprire che all’interno delle nostre case c’erano quaderni di scuola da leggere, disegni da ammirare, mani da stringere, carezze meno fugaci da dare, dialoghi, tanti dialoghi da fare... E poi c’è quell’abbraccio, quell’abbraccio alle persone care che spesso la fretta ci faceva rimandare ad un altro momento e poi ad un altro ancora, quell’abbraccio che adesso desideriamo più di qualsiasi altra cosa al mondo e non possiamo avere né dare perché i nostri cari non possiamo incontrarli, blindati nelle loro case asettiche.
Se ci avessero detto due mesi fa che potevamo lavorare da casa, avremmo forse detto che era una follia, una cosa impossibile e noiosa. E invece stiamo sperimentando che non solo si può vivere ugualmente lavorando da casa, ma che è anche meno stressante rispetto al dover stare ore e ore in macchina per raggiungere il lavoro, oltre che economicamente vantaggioso. E per molti di quelli che si credevano o si credono essenziali, vale la pena rammentare il senso intrinseco di una vecchia citazione che, ora più che mai, ci ricorda che siamo “tutti utili ma nessuno indispensabile”. Il mondo va avanti lo stesso. Ci voleva il Covid-19 per comprenderlo?
Abbiamo capito che ciò che ci appariva irrinunciabile, è invece perfettamente marginale e talvolta del tutto insignificante.
Abbiamo capito quante volte non abbiamo guardato negli occhi i nostri figli, nostra moglie, nostro marito, i nostri genitori e nonni perché correvamo troppo, presi dalla frenesia del denaro, della carriera, dell’apparire, dell’esserci a tutti i costi, spesso chiusi dentro i nostri uffici in infinite riunioni, utili solo ad abbassare la nostra autostima o a sovrastimarla in una perpetua e insignificante corsa alla ricerca di quell’io autocelebrativo, spesso inutile e vuoto.
Tutti a correre, sempre a correre come se avessimo dovuto raggiungere un primato alle olimpiadi, in una perenne competizione con il nostro prossimo.
Che le famiglie hanno scoperto il piacere di fare il pane in casa ma non sapevano di saperlo fare, sorprendendosi per quell’aroma che ti riempie, ti mette di buon umore e che, inconsapevolmente, diventa anche una ricetta efficace per curare l’ansia.
Che nulla è impossibile e si può fare di necessità virtù, realizzando tutto ciò che credevamo di non saper fare o che non volevamo fare per pigrizia.
Che a casa c’erano dei libri che non si erano mai letti, una chitarra che non si era mai suonata, delle cose che si demandavano ad altri perdendosi il piacere di farle assieme alla propria famiglia e magari ridere tutti insieme ed insieme sperimentare, adattare, smontare o montare, improvvisandoci cuochi, falegnami, idraulici.
E poi ci sono quelle osservazioni satellitari che ci dicono che in pochi mesi abbiamo avuto una notevole riduzione dei livelli di inquinamento e l’atmosfera ha ricevuto i benefici che neanche gli accordi di Parigi sul clima avrebbe potuto prevedere, immaginare e ottenere.
Quindi cosa dobbiamo imparare da questo dramma globale? Semplicemente che dovremmo riappropriarci del nostro tempo, delle nostre vite sotto un’ottica diversa, rivedendo tutti alcune nostre posizioni e convinzioni, guardando la nostra esistenza da un’angolatura diversa e nuova, costruire su questa esperienza dolorosa le basi per una coesistenza che ci riporti semplicemente ad una sana normalità che avevamo dimenticato.
Ci siamo rialzati da carestie, pestilenze, precedenti pandemie e guerre sanguinarie, tanto violente quanto inutili. Ci rimboccheremo le maniche e ci rialzeremo anche questa volta, nella speranza di essere tutti meno egoisti e ricordarci che il mondo, questo bellissimo mondo che dobbiamo venerare e rispettare come una madre che ci ha donato la vita, se vuole ci spazza via con un semplice starnuto, riportandoci alla memoria che “NOI” in questa Terra non siamo altro che ospiti di passaggio che devono lasciare la casa pulita e in ordine a chi verrà dopo.
In tutto questo scompiglio sociale mi auguro che presto si possa tornare in qualche modo alla normalità, benché controllata, affinché, pur rispettando il sacrosanto diritto alla salute, le libertà personali ed economiche non debbano cedere il passo ai miasmi dell’ipocondria, ma anche dell’ipocrisia.
Ma, al di là di tutto, sono certo che di questa esperienza faremo tutti tesoro, affinché le cose possano cambiare in meglio.
Sono fiducioso. Sì, fiducioso.
Giuseppe Monforte
Leggi tutto...